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Channel: Senza Bussola » Istruzione

Un anno di Merola

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Non sono stati dodici mesi facili per Virginio Merola, sindaco eletto al primo turno dopo il commissariamento di Anna Maria Cancellieri. È stato un anno tutto in salita culminato con il suicidio di Maurizio Cevenini che tanto ha scosso la città e la sua classe politica. Forse Merola aveva sottovalutato il compito che lo aspettava, ma va detto che ci ha provato, ci sta provando (conservando un gradimento non scontato nelle classifiche sui sindaci). Riavviare la macchina comunale, tentare con qualche risultato la via dei bandi pubblici per alcune nomine, puntare tutto sulla pedonalizzazione, che resta il vero terreno su cui la giunta misurerà il suo successo e imposterà con ogni probabilità la prossima campagna elettorale. E ancora: tenere insieme le scelte amministrative con le battaglie nazionali contro i tagli del governo e l’evasione fiscale.
Tutto d’un fiato. Non c’è stata luna di miele, forse perché i bolognesi non si aspettavano fuochi d’artificio, che appunto non ci sono stati. Ci sono state emergenze continue, dalla nevicata dei record (con conseguenti polemiche sui costi fuori controllo), a un bilancio la cui approvazione si è trascinata fino ad oggi nell’incertezza del quadro nazionale, costringendo il Comune all’esercizio provvisorio che è un po’ come governare al rallentatore. I soldi restano pochi, infilarsi la fascia tricolore di questi tempi è già un sacrificio, si parla di tagli, di risparmi, di spending review, di rincari delle tariffe. Nel budget appena presentato ci sono un po’ di soldi per tenere insieme il welfare, la cultura, la casa, la manutenzione. Per materne e nidi ci si affiderà anche ai privati con sinistra e sindacati che promettono battaglia (e sarà il prossimo terreno di scontro duro). A volte però basterebbero piccoli segnali d’austerità, per lasciare meno soli i cittadini ai quali si chiede di far la propria parte. Come il gesto di ridursi gli stipendi: era stato proposto per i manager di Hera ma l’idea non è stata colta dai diretti interessati, un peccato.


Terremoto, quali scuole sono sicure?

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Come in occasione della nevicata di quest'inverno, anche ora, in pieno terremoto, la gestione della comunicazione sulla chiusura delle scuole a Bologna e' avvenuta in modo improvvisato, in ritardo rispetto alle esigenze dei presidi di informare poi le famiglie. La questione va affrontata diversamente pur riconoscendo all'amministrazione comunale impegno e buona volontà in queste ore difficili per tutti. Ma va pure detto che fortunatamente in città il sisma che sta straziando parte dell'Emilia non ha prodotto danni evidenti. Nonostante questo le scuole bolognesi sono chiuse dal 30 maggio con riapertura lunedì 4 giugno, compresa la festività del 2 giugno. Vale quindi la pena fare un po' di ordine.

- Le emergenze che si ripetono devono imporre un ripensamento sulla comunicazione tra Comune, scuole e famiglie. Anche in occasione delle chiusure per terremoto spesso i presidi restano senza informazioni ufficiali per ore, e non basta certo un messaggio su twitter del sindaco per raggiungere migliaia di genitori che, il giorno dopo, devono sapere se la scuola e' aperta oppure no.
- Non e' chiaro quanto tempo serva al Comune per controllare l'agibilità delle scuole. Un giorno? Due giorni? Una settimana?  Decidere giorno per giorno se consentire il rientro in classe non fa che aumentate le difficoltà per le famiglie.
- Il terremoto impone alla giunta un'operazione verità sulla certificazione antisismica degli istituti scolastici e sulle misure di evacuazione. Qual e' la reale situazione dal punto di vista della sicurezza di questi edifici?
Sono domande che consegno ai commentatori del mio blog, ma non solo. Nella speranza di mantenere alta l'attenzione su questi temi e di ottenere le risposte che, ritengo, in molti ora si aspettano.

T-Days, fiumi di parole

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La giunta dovrà tagliare ancora, il welfare e' a rischio, le scuole materne saranno con ogni probabilità in parte privatizzate, di opere pubbliche non si parla quasi più, le infrastrutture sono ormai una barzelletta, il settore delle costruzioni e' fermo, l'Acer scopre che sono troppi i furbetti che hanno una casa pubblica, all'orizzonte c'è la soppressione della Provincia per far posto alla città metropolitana. Ma Bologna resta ostaggio dei commercianti contrari ai T-Days, come se le pedonalizzazioni fossero il solo argomento del dibattito politico estivo. Possibile che sia così  fondamentale sapere da che parte passa un minibus? Francamente non se ne può più.

La grandeur dei rendering

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Di disegnini tridimensionali con alberelli, gente felice e tanto mattone sono pieni gli uffici di quelli che vengono definiti i "patron" di qualche società sportiva. Di questi rendering, di questi tour virtuali son pieni gli archivi dei giornali. Progetti che i promotori "regalano" alla collettività, gesto che fa sempre un certo effetto ma solo nel brevissimo periodo. E si parla, si parla, si parla. Tutti hanno qualcosa da dire. Fu così per Romilia, è così per il "Parco delle Stelle", la cittadella di Gilberto Sacrati che non è mai decollata, anzi da maggio quei terreni - è notizia di questi giorni - saranno probabilmente messi all'asta (fallimentare). E a proposito di rendering attendiamo sviluppi sul quartier generale rossobù a Quarto Inferiore.

L'arte di cavarsela

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Ogni anno dopo l'ubriacatura di Arte Fiera, che contagia positivamente tutta la città, assistiamo a una serie di annunci del tipo "ora non disperdiamo questo prezioso patrimonio...". Ogni anno leggiamo i bollettini del trionfo con i visitatori in crescita (a proposito sapremo mai il fatturato di questa fiera dell'arte?) e ci immaginiamo una nuova vocazione per Bologna. Naturalmente non è così, un po' per mancanza di idee e coraggio, ma soprattutto per le poche risorse disponibili. Il piatto piange, quello del Comune, quello delle Fondazioni, quello dei privati. Presto si riparlerà di piano strategico, ma se la "generosa" Camera di commercio non ha 100mila euro da mettere nella Fondazione Aldini Valeriani, se il bilancio del Comunale è perennemente in bilico, se stiamo ancora vaneggiando di un concerto evento in piazza Maggiore, francamente non si capisce in che modo la città possa approfittare per il resto dell'anno del traino di Arte Fiera.

Referendum, primo test

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Il referendum sui fondi alle scuole private, in gran parte cattoliche, diventa il primo test dopo le elezioni per il Pd. Il giurista ed ex vicepresidente della Camera Stefano Rodotà ha deciso di schierarsi con i referendari di Articolo 33 a difesa della scuola pubblica. Secondo Nadia Urbinati, docente di scienze politiche alla Columbia University, se la consultazione cittadina fosse stata accorpata con il voto per il rinnovo del parlamento sarebbe passata sotto silenzio, mentre ora il tema si gonfia di rilevanza politica a due mesi e mezzo dal voto. Lo sa bene il Pd che sulla scuola pubblica ha glissato nella recente campagna elettorale e che ora rischia di essere messo all'angolo da una alleanza in consiglio comunale Sel-M5S favorevole al referendum. Per ora la giunta ha cercato di derubricare la faccenda. Il milione che viene dato ogni anno dal Comune alle private, dal punto di vista della gestione dei servizi per l'infanzia, consente a Palazzo D'Accursio di rispondere alla domanda di posti che altrimenti non sarebbero garantiti. Ma sul piano politico Bologna, anche in questo caso, rischia di diventare laboratorio nazionale. Come dice Rodotà: "Le scuole private si possono liberamente istituire senza oneri per lo Stato, è un principio della Costituzione che prevede che sia la Repubblica a istituire le scuole statali, di ogni ordine e grado. E quando ci sono difficoltà economiche, bisogna prima di tutto garantire le risorse per le scuole statali". Nelle prossime settimane questo sarà il tema al centro del dibattito tra i partiti in un quadro nazionale già di per sé incerto.

Scuola, referendum, trasparenza

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La giunta comunale e il Pd hanno annunciato che si esprimeranno per il no al referendum contro i fondi pubblici alle private, con questo difendendo l'erogazione di un milione di euro all'anno alle scuole materne cattoliche. È un elemento di chiarezza nel dibattito su un tema che non ha solo valenza locale e che divide il centrosinistra. È la conferma di un modello di gestione mista pubblico-privata che per molti è l'unica strada per garantire i servizi. Con la convenzione in questione, in essere dal 1994, si accolgono nelle private circa 1700 bimbi ogni anno, pari al 20% dell'utenza complessiva. Si spera che nelle prossime settimane favorevoli e contrari al finanziamento pubblico alle materne cattoliche si confrontino e informino i cittadini in modo trasparente e completo. Il voto consultivo infatti se non altro potrebbe essere l'occasione per affrontare molti aspetti della convenzione. Ne elenco alcuni, che al di là di come la si pensi, dovrebbero essere chiariti.

- Se è vero e per quale motivo il costo per bambino alle private convenzionate è più basso di quello alle materne pubbliche.
- Se è vero che l'anno scorso 90 famiglie che avevano fatto domanda alle materne pubbliche sono state dirottate in quelle cattoliche.
- Che tipo di standard sono richiesti alle private, dalla formazione professionale degli operatori agli spazi/attività dedicati ai bambini
- Che tipo di controlli a carico del Comune sono previsti per far rispettare la convenzione e, se ne sono stati fatti in passato, che esito hanno dato.
- Quanto è stato speso l'anno scorso e quanto si prevede di fare quest'anno alla voce "manutenzione degli edifici scolastici comunali".

Non è un referendum per bambini

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In questo blog mi sono spesso occupato del referendum consultivo sul finanziamento pubblico alle scuole cattoliche. E non ho mancato di porre domande (ancora senza risposte) alla giunta su trasparenza, controlli, rendiconto dei fondi erogati. Detto che trattandosi di soldi della collettività, un milione ogni anno, sarebbe opportuno magari pensare a un bando e non a convenzioni "a scatola chiusa", ho trovato assolutamente fuori luogo il coinvolgimento di bambini nella battaglia referendaria, come hanno fatto i promotori della consultazione sabato in piazza Maggiore. Al dibattito non servono queste discutibili iniziative, i piccoli cori di canti partigiani piegati alla volontà degli adulti. Favorevoli e contrari si confrontino lasciando a casa i bimbi, i quali sono semplicemente i destinatari di un servizio che va comunque migliorato. Indipendentemente da come la si pensi.


Scommettiamo che?

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La discesa in campo del presidente della Cei Angelo Bagnasco, a difesa del finanziamento pubblico alle materne cattoliche bolognesi, conferma l'importanza della posta in gioco col referendum consultivo del 26 maggio e l'impegno diretto nella campagna elettorale della Chiesa ai suoi massimi livelli. Secondo l'esponente della Cei sono soldi spesi bene, poiché "nel caso delle scuole paritarie non si tratta di un onere nei confronti dello Stato in quanto, sebbene esso contribuisca economicamente al loro sostentamento, è ben di più quanto esse fanno risparmiare alla collettività rispetto a quanto ricevono da essa". L'affondo di Bagnasco sposta il referendum dal piano locale a quello nazionale e arriva dopo la petizione di vip e intellettuali contro il finanziamento di un milione all'anno alle materne cattoliche, prendendo in contropiede il Pd che a fatica sta cercando di mantenere il dibattito sui contenuti amministrativi e i benefici concreti per le famiglie che sarebbero garantiti dalla convenzione. Non a caso in giunta ci fu chi definì marziani i firmatari dell'appello pro Articolo 33, ma ora che l'astronave della Cei è atterrata sotto le Torri le strategie del fronte del "B" sono destinate a mutare. I laici del Pd impegnati a sostenere la Giunta sono i primi a essere preoccupati dalla sortita di Bagnasco. Alzare i toni, trasformare il 26 maggio in un appuntamento nazionale, è l'ultima cosa che il sindaco e i vertici bolognesi del Pd vorrebbero. A questo punto la previsione è facile. Se vincerà il "B" sarà merito della Curia, se perderà sarà colpa del Pd. Scommettiamo?